Le relatrici hanno rivendicato la volontà di essere sempre più presenti anche nella Chiesa, grazie alle posizioni assunte in merito da Papa Francesco. “Secondo alcuni studi quando le donne vengono coinvolte nei processi di pace c’è il 35% in più di possibilità che le negoziazioni abbiano successo. Eppure sono pochissime le donne che svolgono questi ruoli, soprattutto ad alto livello, ad esempio in Medio Oriente”, ha ricordato la moderatrice Petra Dankova. L’evento dell’8 marzo, che si svolge in Vaticano per la quarta volta e propone testimonianze e scambio di buone pratiche da tutto il mondo, è stato ideato da Chantal Götz e organizzato da Fidel Götz foundation e Liechtenstein non profit foundation, con la collaborazione del Jesuit refugee service. “Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, ci ha permesso di realizzare il convegno in Vaticano – ha detto Gotz -. Come donne vogliamo fare la nostra parte e lavorare per la nonviolenza”.
Scilla Elworthy, fondatrice dell’Oxford research group, con 30 anni di esperienza in quest’ambito ha maturato una profonda conoscenza del settore: “Sono rarissime le donne con ruoli chiavi nelle mediazioni e negoziazioni – ha spiegato -. Questo significa che negli accordi di pace non si tiene mai conto delle vittime delle guerre, che sono soprattutto donne e bambini”. Elworthy ha ricordato che le urgenze mondiali attuali – clima, migrazioni, gap tra ricchi e poveri e sovrappopolazione – “non possono essere risolte nella maniera tradizionale, ossia con le armi. Da qui il contributo delle donne, che hanno un approccio diverso, più consapevole e spirituale”. La richiesta di una maggiore presenza delle donne nei processi di dialogo e pace riguarda anche le organizzazioni ecclesiali coinvolte: “Vogliamo più donne nelle negoziazioni ad alto livello”, ha ribadito Kerry Robinson, direttore esecutivo della Leadership roundtable che promuove buone prassi manageriali ed economiche nella Chiesa degli Stati Uniti.
(Agenzia Sir)