Non è così per la vita cristiana e l’anno liturgico che la caratterizza, in questo caso, infatti, è la meta che richiede il percorso e addirittura lo costituisce. Nel costituirlo la liturgia, nella sua saggezza, sa come valorizzarlo, se infatti l’avvento attraverso l’attesa non annulla il percorso ma lo qualifica, la quaresima, invece, è stata pensata in modo tale che il credente deve necessariamente intraprendere questo viaggio poiché se da una parte la pasqua lo crea e lo qualifica dall’altra lo richiede come necessità. Annullare il percorso che conduce alla pasqua è annullare la pasqua stessa, poiché come ci indica la Bibbia ogni meta richiede una strada. Annullare il cammino pensando di raggiungere la meta in modo quasi magico non è umano né divino, ma diabolico. È il pericolo che ci presenta la chiesa all’inizio di questo cammino attraverso il brano delle tentazioni, al di là della modalità, quello che il maligno tenta di fare nei confronti di Gesù è annullare il progetto di Dio che prevede un percorso, annullare ogni possibile cammino e ingannare l’uomo con il miraggio della meta immediata e a portata di mano sembra essere il suo obiettivo.
Il cammino è iscritto nella stessa creazione dell’uomo, il libro della Genesi, infatti, ci parla di un Dio che fa germogliare ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male, e ci racconta anche del percorso che indica all’uomo quando gli ordina: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente morirai”. Attorno all’albero e al suo divieto Dio pone l’opportunità di una relazione tra lui e l’umanità. Questo possibile percorso viene annullato dal serpente quando ingannando la donna dice: “Non morirete affatto! Anzi Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”. Dopo queste parole la donna non guarda più il frutto con gli occhi di Dio ma con quelli del serpente, quello che cambia non è l’albero, ma la donna, poiché non vede più l’albero nella sua bontà, così come l’aveva posto Dio nel giardino dell’Eden, ma come l’ha fatto apparire il serpente, per acquistare saggezza. Eva si trova davanti a un dilemma: determinarsi attraverso l’obbedienza a Dio rispettando il limite che garantisce il cammino di relazione o determinarsi saltando il percorso e raggiungendo immediatamente la meta, escludendo in tal modo la relazione? La scelta di mangiare del frutto dell’albero apre loro gli occhi, come aveva detto il serpente, non diventano come Dio ma si vedono nudi, si vedono lontani da Dio che hanno rifiutato disobbedendo. Senza Dio il limite non è più uno spazio di crescita ma una difficoltà insormontabile.
Anche l’uomo Gesù viene posto in uno spazio di limite, al giardino dell’Eden e alla privazione dell’albero della conoscenza del bene e del male corrispondo il deserto e il digiuno, la privazione del cibo. La tattica del tentatore è sempre la stessa: eliminare dalla vita umana di Gesù il percorso di rivelazione e di condivisione del limite umano. In modo sottile, infatti, quello che viene messo in discussione è il rapporto tra Gesù e il Padre, nel suo essere “Figlio”, il diavolo lo sfida a staccarsi dal Padre e ad agire in modo indipendente. Così nella prima tentazione, dove il maligno lo invita a superare il limite della fame cercando il nutrimento non dalle pietre ma dalla sua capacità di trasformare le pietre, diventa illuminante la risposta di Gesù: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. È vero, Gesù cita le parole del libro del Deuteronomio, ma la pienezza del significato richiede un riferimento anteriore. Il comando dato ai progenitori e il suo relativo ascolto garantiva la vita. Nel momento in cui Adamo ed Eva si nutrono dell’albero smettono di nutrirsi della parola di Dio, interrompono la relazione che si fondava sulla fiducia che quello che Dio aveva detto era un bene per loro. Sulla fiducia che viene messa in discussione si poggia la seconda tentazione, la parola di Dio nutre quando l’uomo attraverso la fede l’accoglie, ma non riesce a farlo quando viene messa in discussione. Gesù nella risposta al maligno ci ricorda che solo la “parola di Dio” ci aiuta a credere alla parola di Dio. Se il diavolo, come il serpente, riporta la parola di Dio interpretandola e facendo vedere il negativo che non c’è, insinuando così il dubbio, Gesù rispondendo attraverso la parola di Dio ci fa comprendere che l’unico modo per capire la parola di Dio è la Paola di Dio (Gesù). E infine anche la terza tentazione fa riferimento al passo genesiaco, come infatti il serpente aveva tentato Eva con l’attrazione della totalità e l’eliminazione del limite, così il diavolo tenta Gesù attraverso l’avidità. Possedere tutto significa necessariamente sacrificare “la parte mancante”, sacrificare il limite della mancanza di totalità su cui si fonda e si vive la relazione con Dio. È in questo limite trova posto la fede, in questo spazio Dio continua a parlare, dove l’uomo può continuare a rendere culto, sapendo che solo se Lui parla e noi ascoltiamo può continuare il cammino della vita. Il culto dell’ascolto di Dio che richiede necessariamente l’allontanamento del maligno: “Vattene satana”. Per un breve momento satana ha occupato lo spazio dell’ascolto, ma le risposte di Gesù hanno liberato lo spazio agli angeli che lo servono.