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L’amore di Gesù risorto è compimento della legge

pantocratore

Quando noi sentiamo la parola “legge” istintivamente la collochiamo nella nostra società e pensiamo allo sforzo umano di dare delle regole nella ricerca del bene comune, per il mantenimento di ordine sociale, in cui ogni uomo possa realizzare sé stesso osservando tali precetti e venendo tutelato e custodito da tali norme. Quando, invece, Gesù fa riferimento alla legge le sue parole e le sue intenzioni sono sicuramente più ampie, partendo dal termine ebraico stesso Torah che il greco dei LXX e del nuovo testamento traduce “legge”, ma che forse sarebbe meglio tradurre “insegnamento”, rispettando così la sua natura pedagogica–giuridica ed evitando di comprendere il termine in modo statico riduttivo, come osservanza ed esecuzione, senza considerare l’aspetto insito della crescita, Gesù fa riferimento ai primi cinque libri della Bibbia e in generale alla comprensione che di essi hanno gli altri libri dell’Antico Testamento. Il salmo 118 ricorda chiaramente che l’uomo che cammina nella legge del Signore, che è fedele ai suoi insegnamenti è beato. La beatitudine, cioè l’effetto del camminare nella legge, non è solo il punto di arrivo dell’insegnamento, ma può e dovrebbe divenire il punto di partenza, poiché vedendo questa testimonianza d’Israele i popoli vicini possono cogliere la sapienza di questa nazione che ha un Dio così vicino: «Vedete, io vi ho insegnato le leggi e le norme come il Signore, mio Dio, mi ha ordinato, perché le mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi diranno: Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?» (Dt 4,5-7). Il brano evangelico che ci propone la VI domenica del Tempo ordinario di questo anno liturgico in cui Gesù fa riferimento al ruolo della legge può essere diviso in due parti, un’introduzione fondante e una parte esplicativa in cui Gesù riprende il comandamento dell’amore verso il prossimo e lo rilegge attraverso la sua persona. La sua “presenza” come chiave di lettura c’è già nella parte introduttiva, poiché la missione di Gesù non è solo quella di rileggere la storia ma di scriverla in modo nuovo. Nel momento in cui afferma che il suo invio ha lo scopo di dare compimento alla legge e ai profeti dichiara indirettamente ma chiaramente la bontà di questi “strumenti”. Questa bontà è così importante per la salvezza dell’uomo che neppure un iota o un segno potrà cadere senza che tutto sia compiuto. Per un momento sembra quasi che Gesù stacchi la legge da sé per concentrarsi sul legame che si pone tra l’osservanza o la trasgressione della legge e la considerazione che il soggetto ha nel regno dei cieli, in realtà questa parentesi diventa una premessa per inserire la “sua lettura”, da questo momento, infatti viene inserita l’espressione “io vi dico” che esplicita il compimento. Il primo “io vi dico” diventa il principio che deve guidare l’osservanza della legge e che inizia a specificare il compimento che Gesù vuole dare alla legge, l’espressione “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”, ruota attorno al termine “giustizia”, a cui dobbiamo dare la giusta interpretazione. Il termine ricorre per la prima volta nel vangelo di Matteo nell’evento del battesimo di Gesù: “Lascia fare per ora, conviene che adempiamo ogni giustizia”, in questo caso il termine è legato alla categoria di compimento; ricorre poi due volte nelle beatitudini, concludendo la prima parte dello schema, “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”, e chiudendo la seconda parte, “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”, in questo caso è necessario notare che il termine “perseguitare”, viene ripreso nella beatitudine conclusiva in cui il termine giustizia viene sostituito dalla persona stessa di Gesù: “vi perseguiteranno per causa mia”. Nella nostra pericope le categorie di compimento e di giustizia trovano la giusta modalità di espressione nella persona di Gesù. Nella parte esplicativa caratterizzata da “avete inteso che fu detto … ma io vi dico”, Gesù, quindi, non propone un nuovo comandamento, ma un comandamento nuovo, l’amore del prossimo attraverso la sua persona: “amatevi come io vi ho amato”. Si capisce così che la legge per poter trasformare l’uomo deve essere riempita dall’amore di Dio in Gesù Cristo, e non essere eseguita con freddezza, è l’amore che dà senso al nostro fare e non è il nostro fare che crea l’amore. Quando Gesù inizia la serie delle antitesi, infatti, sposta l’attenzione dall’atto esterno alla condizione interna dell’individuo, il suo cuore, ma soprattutto si concentra non sull’oggetto ma sul soggetto, conduce la legge all’interiorità dell’uomo che agisce. Qualunque atto cattivo commesso contro il prossimo può essere sanzionato. Non sarai giudicato solo per il danno o la sofferenza che hai causato, ma anche perché nel tuo cuore hai ospitato un sentimento negativo che ti ha tolto libertà e purezza. Si capisce così l’insistenza sul quinto e sesto comandamento, riletti non solo attraverso il “non fare” (trasgressione), ma anche e soprattutto il “fare” (trasformazione), perché solo l’uomo riconciliato con il fratello è offerta gradita a Dio.