La chiamata si è incarnata con Gesù Cristo che ha rivelato chiaramente la santità di Dio e l’ha resa accessibile agli uomini, quello che sembrava un comando difficile da realizzare, nel Figlio unigenito in cui il Padre si compiace è diventato la nostra grande opportunità. La sua morte e la sua risurrezione realizzano per noi questa possibilità e l’inserimento in questo mistero diventato per noi l’inizio del cammino alla santità. Così la predica e lo celebra la Chiesa nei suoi sacramenti iniziando dal Battesimo. Dopo l’immersione o l’infusione le parole che accompagnano l’unzione con il crisma e la consegna della veste bianca e del cero acceso ci invitano a prendere coscienza della nuova realtà e di viverla come chiamata alla santità. Per definire la nuova identità il rito fa riferimento a Cristo: “inserito in Cristo”, “ti sei rivestito di Cristo”, “illuminato da Cristo”. Il rito definisce la nuova identità “in Cristo” a partire dalla Sacra Scrittura e a partire da questa ultima frase invita oggi noi a comprendere meglio l’invito che viene fatto ai genitori e ai padrini: “Abbiate cura che il vostro bambino, illuminato da Cristo, viva sempre come figlio della luce, e perseverando nella fede, vada incontro al Signore che viene, con tutti i santi nel Regno dei cieli”.
Matteo nel discorso della montagna inizia a delineare il programma del Regno dei cieli e aggiunge il codice del vero testimone. Il testimone è colui che mediante il proprio comportamento rivela il segreto che lo fa vivere. Quando Gesù invita i suoi interlocutori ad essere sale della terra e luce del mondo ha come obiettivo primario proprio la testimonianza. Il sale e la luce hanno in comune la capacità di rivelare, il sale rivela il sapore dei cibi e la luce permette di vedere la realtà delle cose, quello che il testimone deve fare è rivelare la propria identità attraverso le buone opere affinché gli uomini vedano e rendano gloria a Dio. Ma la testimonianza non è solo il risultato di uno sforzo umano che s’impegna a fare, anzi, è forse di più il frutto di quell’albero che l’uomo è diventato nel momento in cui è stato innestato in Gesù Cristo. La nostra luce, infatti, nasce dalla sua luce, come la nostra vita nasce dalla sua vita: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini, la luce spende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,3), così come le nostre opere derivano dalle sue opere: “Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno, poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo” (Gv 9,4). Queste parole del vangelo di Giovanni che apparentemente sembrano difficile da comprendere diventano “lampada” che illumina i passi del nostro cammino di comprensione. Gesù associa alla sua azione salvifica i suoi discepoli e i suoi ascoltatori e chiede a loro, e oggi a noi, di estendere e continuare le opere del Padre. Si spiega così l’espressione finale “finché sono nel mondo, sono la luce del mondo”. Il vangelo di Matteo riprende questa ultima parte e la esplicita, quando Gesù parla di lucerna che viene accesa per metterla sopra il lucerniere intende proprio questo, è la sua persona che comunicando la sua luce e la sua missione ha acceso in noi la fiamma della figliolanza divina. Facendo riferimento alla sua azione redentrice Gesù ci invita a non nascondere questa nuova identità poiché come aveva detto riguardo alla prima immagine “ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato?”. Ciò che Dio ha fatto a noi attraverso Gesù Cristo, non può essere sostituito da nessun’altra realtà e di conseguenza la testimonianza che possiamo dare di questa realtà è talmente necessaria che se viene meno la casa del mondo viene privata di parte della sua luce. Compreso questo si pone un altro problema: quando parliamo di rendere testimonianza che cosa vogliamo intendere? Il profeta Isaia a riguardo è molto chiaro, ci invita a ricercare un atteggiamento di servizio, solo in questo modo si può rispondere alla missione che Dio ha affidato al Figlio e che il Figlio ha affidato a noi. Per ben due volte nella sua profezia indica atteggiamenti solidarietà e di onesta per “far sorgere la luce come aurora e farla brillare nelle tenebre”. La fiamma d’amore che Dio ha acceso nei suoi fedeli non può essere nascosta come lucerna sotto moggio, ma richiede l’attenzione verso ogni fratello ultimi e bisognosi, senza togliere gli occhi dalla tua gente. Solo in questo modo viene fornito l’ossigeno per farla ardere ancora, altrimenti sarà soffocata e si spegnerà.