La domanda posta così a bruciapelo, più che una riflessione ordinata porta a una serie di flash che si accavallano e cercano di occupare il primo posto nella nostra mente, in base a quello che nella società ci viene comunicato. Tra le tante cose quella che è arrivata per prima alla mia mente è un’espressione “mai una gioia”, che i giovani e anche i meno giovani usano per manifestare, quasi in modo leggero, una delusione o una frustrazione, in settore della vita personale e sociale, tanto da farla diventare un hashtag #mainagioia#. Partendo da questo pensiero leggero sulla gioia possiamo intraprendere una breve riflessione per incrociare la via della riflessione biblico-liturgica. L’espressione comune fa sicuramente riferimento a qualche desiderio che noi, o qualcuno per noi, abbiamo creato e che non è stato realizzato. La nostra attesa è stata legata non solo a noi ma anche a qualcuno che doveva fare qualcosa per noi, la realizzazione di ciò che abbiamo desiderato, sperato e atteso ci avrebbe portato a un piacere fisico o mentale che ci avrebbe fatto stare bene, la gioia.
Prima di incrociare questa breve riflessione con la via biblico-liturgico è bene porci qualche domanda che possa illuminare il confronto. La gioia è la soddisfazione di un desiderio o di un bisogno? Può essere comandata? È solo l’effetto di un’azione favorevole nei nostri confronti oppure l’attesa e la speranza stessa di questo dono creano una situazione e una condizione di gioia? Una risposta immediata a queste domande ci viene data dalla liturgia come riporta l’antifona d’ingresso: Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino.” (Fil 4,4.5). Questa esortazione di Paolo porta un contributo, per l’apostolo la gioia è in un invito che si trova in un “luogo”, nel Signore, ma nello stesso tempo la gioia ha un motivo: la vicinanza del Signore. Letta così, l’espressione potrebbe sembrare contraddittoria: come possiamo rallegrarci nel Signore se lo stiamo ancora aspettando? Per l’uomo biblico l’espressione non pone difficoltà, poiché sa che solo appoggiandosi (fidandosi) su ciò che il Signore ha fatto si può attendere la sua venuta definitiva. Lo sa il profeta Isaia, in un tempo in cui gli Assiri portano in esilio i fratelli del regno d’Israele e devastano Giuda, invita non solo il popolo ma anche quella parte della creazione, che sembra più sofferente e devastata, a rallegrarsi. L’invito alla gioia per accogliere e corrispondere a quello che il Signore sta per fare: “Egli viene a salvarvi”. Dall’incontro tra la gioia dell’attesa, la gioia come attesa, e la gioia di ciò che Dio ha fatto e sta per fare nasce la vera gioia per l’uomo: “felicità perenne splenderà sul loro capo, gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto”.
L’incontro tra il dono di Dio e il profondo e vero desiderio umano si è reso visibile in Gesù e nella sua azione salvifica. Quando, infatti, Giovanni Battista manda i discepoli a chiedergli “Sei tu colui che devi venire o dobbiamo attendere un altro”, Gesù risponde: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella”. L’udire e il vedere sono il primo passo per la gioia. Dopo aver invitato a costatare ciò che il profeta Isaia aveva preannunziato, Gesù aggiunge: “E beato colui che non si scandalizza di me”. L’azione risanatrice di Gesù è lo strumento di rivelazione della persona stessa di Gesù, quello che lui dice, quello che lui fa sono i gradini di una scala che porta alla gioia, attraverso una fede attendente e accogliente possiamo accedere al vero gaudio che è il Figlio di Dio che nasce per noi, di cui non dobbiamo scandalizzarci. Gesù è il punto finale della nostra ricerca della gioia, ed è lui stesso che ci fa riflettere sul senso stesso di questa ricerca. A volte cerchiamo Dio e la gioia che solo lui può dare, in luoghi dove lui non vuole dimorare, altre volte dove Dio vuole abitare e si lascia trovare ma dove cerchiamo cose che Dio non ritiene utile dare. È il momento di tornare nel deserto per cercare e vedere quello che il deserto e colui che è andato nel deserto ci vogliono comunicare, la gioia divina, solo lì la nostra ricerca e la nostra attesa s’incontreranno con il dono e il venire di Dio, e potremo vedere la gloria del Signore e la magnificenza del nostro Dio. Nella piccolezza e nell’umiltà del fare e farsi deserto c’è la grandezza e la gioia di entrare diventare regno di Dio.