{module AddThis}Perché se è vero che è Dio che suscita le vocazioni; “dobbiamo permettergli di agire con la sua grazia”, collaborare con Lui affinchè all’interno delle famiglie e delle parrocchie queste possano sgorgare, fiorire e alimentarsi. A partire da una “maggiore consapevolezza della necessità della preghiera per le vocazioni, il loro discernimento ed accompagnamento”, dalla testimonianza di “famiglie sante che con amore vivano la comunità parrocchiale e diocesana”, da un’azione di trasmissione della fede che educhi i giovani “a usare correttamente la libertà e progettare la vita senza escludere la possibilità di aprirsi alla chiamata del Signore. Sappiamo come questo compito oggi sia reso particolarmente difficile – ha sottolineato l’arcivescovo – dalla carente mentalità di fede e dalla ricerca consumistica del benessere, per cui anche nelle famiglie cristiane registriamo l’incomprensione e l’opposizione alle vocazioni di speciale consacrazione. Ma non bisogna solo piangere: bisogna pregare, lavorare, progettare e reagire, con forza! Ecco il motivo di questo anno pastorale” dedicato alle vocazioni di speciale consacrazione.
Un tema che si colloca in linea di continuità con i due convegni pastorali precedenti: “Ripartire dall’evangelizzazione” (2014) e “La trasmissione della fede” (2015), perchè l’impegno della promozione e accompagnamento delle vocazioni è parte importante e indispensabile nell’attività evangelizzatrice e quindi della trasmissione della fede. ”Manca oggi questa cultura vocazionale presso il nostro popolo e presso le famiglie, anche quelle più vicine alla comunità cristiana e tante volte attive in mezzo ad essa. Le vocazioni si ritiene siano un problema esclusivo del Vescovo, che deve provvedere ai bisogni dei fedeli. Tutti vorrebbero le suore, ma il Vescovo deve farle venire da fuori, perché nessuno pensa che una ragazza della parrocchia possa diventare suora. Per quanta gente la consacrazione di un giovane a Dio è ritenuta una sciagura, un bruciarsi la vita! “. Nella sua omelia il padre-pastore richiama più volte il concetto della collaborazione e corresponsabilità di tutti nella acquisizione di una coscienza vocazionale, come progetto di un cammino che proprio dal convegno intende partire, per proseguire il lavoro già iniziato e costruirsi giorno dopo giorno, passo dopo passo, in una visione globale che disegna per ognuno un suo ruolo particolare. La famiglia, che “deve essere luogo e strumento di discernimento della vocazione dei figli”, la parrocchia, dove “ci sono alcuni che hanno la missione particolare di saper leggere nell’anima dei ragazzi e dei giovani per far capire all’interessato che Dio sta chiamando” e dove molte vocazioni nascono dal servizio liturgico dei ministranti o all’interno delle varie associazioni e movimenti o nel servizio di carità. Sacerdoti, educatori, catechisti mettono già particolare cura nella formazione dei giovani. “ma non è ancora maturata pienamente la consapevolezza che è compito di tutta la comunità ecclesiale promuovere e far crescere la vocazioni. Bisogna convincersi che le vocazioni nascono da una comunità cristiana attenta, che sa apprezzarne il dono”. Una comunità in cui si possa realizzare la coerenza tra fede e vita. Ed è in questa direzione che ancora una volta padre Giuseppe rivolge il suo appello ai fedeli che gremiscono la Cattedrale: “In questo momento difficile della vita diocesana per la tristissima vicenda di Melito possiamo tentare tutti di impegnarci a ricostruire il nostro tessuto sociale, morale, culturale, religioso”.