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Francesco suona la sveglia: “Giovani, dal divano alla vita”

Papa Francesco a Cracovia

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Le parole di Francesco hanno fatto seguito alle testimonianze di tre giovani, alcuni dei quali hanno raccontato una realtà di guerra, odio e dolore. “Siamo “figli” di nazioni che forse stanno discutendo per vari conflitti, o addirittura sono in guerra”, ha esordito Papa Francesco, “altri veniamo da paesi che possono essere in “pace”, che non hanno conflitti bellici, dove molte delle cose dolorose che succedono nel mondo fanno solo parte delle notizie e della stampa. Ma siamo consapevoli di una realtà: per noi, oggi e qui, provenienti da diverse parti del mondo, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più una cosa anonima, non sono più una notizia della stampa, hanno un nome, un volto, una storia, una vicinanza”.
Ci sono situazioni che possono risultare lontane fino a quando, in qualche modo, le tocchiamo. Quando prendiamo contatto con la vita, con quelle vite concrete non più mediatizzate dagli schermi, allora ci succede qualcosa di forte, sentiamo l’invito a coinvolgerci.
Ma come reagire al male? Il Santo Padre indica una strada chiara: “noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere, non vogliamo insultare. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia. Festeggiamo il fatto che veniamo da culture diverse e ci uniamo per pregare. La nostra migliore parola, il nostro miglior discorso sia unirci in preghiera”.
Anche i discepoli hanno vissuto terribili difficoltà, hanno passato momenti in cui sono stati pieni di paura, in cui sembrava che tutto crollasse. Papa Francesco offre, allora, una straordinaria riflessione sulla paura e i suoi effetti nella vita delle persone e dei giovani in particolare: “la paura porta in un unico posto: alla chiusura. E quando la paura si rintana nella chiusura, va sempre in compagnia di sua “sorella gemella”, la paralisi”. E il Papa definisce la paralisi come il sentire che in questo mondo, nelle nostre città, nelle nostre comunità, non c’è più spazio per crescere, per sognare, per creare, per guardare orizzonti, in definitiva per vivere, “è uno dei mali peggiori che possono capitare nella vita e ancor di più nella gioventù, afferma Francesco, la paralisi ci fa perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. Ci impedisce di stringere la mano, tutti chiusi nelle piccole stanzette di vetro”.
Ma nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa per i giovani e spesso difficile da identificare, e che costa molto riconoscere. “Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la felicità con un divano. Sì, credere che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri, che ci faccia stare chiusi in casa senza affaticarci né preoccuparci. La “divano-felicità”, afferma il Papa, è probabilmente la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più la gioventù; perché a poco a poco, senza rendercene conto, ci troviamo addormentati, ci troviamo imbambolati e intontiti, mentre altri – forse i più vivi, ma non i più buoni – decidono il futuro per noi”.
Sicuramente, per molti è più facile e vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per molti questo risulta più conveniente che avere giovani svegli, desiderosi di rispondere al sogno di Dio e a tutte le aspirazioni del cuore. Così il Santo Padre scuote ancora i giovani, interpellandoli personalmente: “Voi vi domando, volete essere giovani addormentati, imbambolati, intontiti, volete che altri decidano il futuro, volete essere liberi, svelti, lottare per il vostro futuro?”.
La preoccupazione del futuro e della libertà dei giovani viene manifestata da Papa Francesco proprio in conclusione del suo discorso: “cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. E’ molto triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quando scegliamo la comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà. Questo è il prezzo. C’è tanta gente che non vuole che i giovani siano liberi, ma li vogliono intontiti, imbambolati….dobbiamo difendere la libertà”.
Papa Francesco affida, dunque, una missione ben precisa ai giovani del 2016: lasciare un’impronta, vivere da protagonisti nel mondo. E addirittura, cita tre esempi concreti per far capire come imprimere questa impronta: “andate per le strade del nostro Dio che vi invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che vi stimola a pensare un’economia più solidale”. Il Papa chiede un grande impegno, frutto di una grande responsabilità: “abbiate il coraggio di insegnarci, conclude Papa Francesco, che è più facile costruire ponti che innalzare muri, abbiamo bisogno di imparare questo! E tutti insieme chiediamo che esigiate da noi di percorrere le strade della fraternità, che siate voi i nostri accusatori se noi scegliamo la via dei muri, dell’inimicizia, della guerra”.