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La missione, vita della Chiesa

Lo Spirito Santo scende sugli apostoli e Maria

{module AddThis}La missione, nella Bibbia così come nella vita, corre sul filo della parola, la parola gioiosa del profeta Isaia che invita il popolo alla speranza e alla fiducia: un giorno Gerusalemme risplenderà della gloria di divina e Dio consolerà il suo popolo come una madre consola i suoi figli.
La profezia di Isaia si compie nel momento in cui la Parola si è fatta carne, “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato”, ecco la prima missione, tutte le altre non sono che estensione di questa, Dio che esce per incontrare l’umanità. Attraverso questo corpo Gesù ha la possibilità di raggiungere l’umanità nel suo peccato, e non se la lascia sfuggire, per quello che ci raccontano i vangeli, infatti, Gesù è l’uomo che cammina, si mette sulla strada per incontrare l’uomo nella sua realtà. In questo percorso coinvolge in modo sempre più attivo alcune persone che lo hanno seguito. È vero che lui apre e traccia la strada, sia fisicamente sia spiritualmente e che il discepolo deve seguirlo fidandosi cecamente di lui, ma è altrettanto vero che la pienezza della sequela si sperimenta nella condivisione e partecipazione alla sua missione.
Già nel momento in cui ci aveva raccontato che Gesù si era diretto decisamente verso Gerusalemme (Lc 9,51), l’evangelista ci aveva comunicato l’invio di messaggeri in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso, ora, nel brano evangelico della XIV domenica del Tempo Ordinario ci narra della prima vera missione in cui sono coinvolti settantadue discepoli, anzi sembra quasi che essi siano nominati discepoli in funzione di tale missione. A questo punto del percorso, per definire l’identità del discepolo, è necessario sperimentare la missione, non basta più la risposta immediata alla chiamata del maestro, la rinuncia generosa alle proprie cose e ai propri affetti, ora viene chiesto di mettere in discussione la propria vita attraverso l’annuncio del Regno di Dio.
È questo il campo in cui si svela ulteriormente la chiamata, rispondere pienamente a Cristo significa condividere pienamente la sua vita in modo totale fino ad arrivare a dire con Paolo: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come il per il mondo… perché quello che conta è l’essere nuova creatura”. Condividere la vita significa condividere la sua missione, in questa partecipazione c’è l’amore verso l’umanità e l’inquietudine che si placa solo quando ogni uomo avrà l’opportunità di entrare nel regno di Dio.
Il primo passo della missione è prendere coscienza della necessità del missionario, richiesto da un’abbondante messe e garantita solo dal padrone della messe. La modalità della missione è allo stesso tempo paradossale e chiara, ben delineata. Paradossale, perché l’incontro questa “messe” bisognosa non sarà facile: “Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, chiara e ben delineata perché l’unico strumento in mano agli agnelli per addomesticare i lupi sarà la povertà dell’annuncio, povertà intesa come essenzialità. L’operaio in questo caso si spoglia di ogni possibilità per poter portare la pace e il regno di Dio, anche l’accoglienza e il rifiuto vanno letti in questa direzione, cioè in riferimento all’essenzialità dell’annuncio, che si presenta nella ricchezza della sua povertà. Il missionario si sveste di beni e strumenti materiali e affida all’annuncio tutta la possibilità di farsi accogliere, chi accoglie l’annuncio accoglie il missionario, chi rifiuta l’annuncio rifiuta il missionario, e non il contrario.
Il missionario va accolto in quanto portatore di un messaggio affidatogli. La forza dell’annuncio è dimostrata attraverso tre indicazioni: la prima riguarda il messaggio di pace, questo dono non si disperde né si corrompe, quando viene rifiutato ritorna a colui che l’ha annunciato; la seconda fa riferimento al giudizio finale, il criterio di valutazione è legato strettamente all’accoglienza e al rifiuto più di quanto non lo sia a una situazione di peccato che si può risolvere attraverso il perdono; la terza è legata alla gioia dei missionari che ritornano da Gesù, la gioia non dipende dalla capacità di scacciare i demòni, abilità concessa da Gesù insieme ad altri poteri, ma dal fatto che i loro nomi sono scritti in cielo. Il nome del missionario non è scritto in cielo perché il suo massaggio è stato accolto, ma se ha fatto di tutto per far giungere l’annuncio del regno di Dio, nella sua povertà e nella sua verità, a ogni uomo a cui è stato mandato.