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La forza del paradosso insita nelle parole è solo l’inizio della forza del paradosso della vita: com’è possibile trarre un dono così grande come lo spirito di grazia e consolazione da un’immagine che testimonia solo il nostro rifiuto e la nostra cattiveria? La forza del bene non viene dall’agire umano ma dalla misericordia di Dio, che non sbarra all’uomo la strada nel vicolo chiuso del suo male ma in quella strada apre un nuovo cammino. La figura di questo bene donato da Dio è quella del servo sofferente, già proposta da Isaia e Geremia, e ora ripresa da Zaccaria, il profeta lo presenta come un nuovo “capro espiatorio” rifiutato dal popolo che tenta di tranquillizzare la propria coscienza, sbarazzandosi del guastafeste che mette sotto accusa le loro aspirazioni. Ma davanti al risultato del loro peccato gli uomini potranno finalmente aprire i loro occhi, riconoscere la loro colpevolezza e aprirsi allo Spirito. Sarà il tempo della conversione.
Questo tempo si apre nel momento in cui, dopo avere ricevuto lo Spirito Santo nel Battesimo, inizia il suo ministero pubblico proclamando le prime parole del suo vangelo: “Convertitevi e credete al vangelo, perché il regno di Dio è vicino”. Tutto quello che viene dopo non è altro che la realizzazione di questo proclama, il compimento del regno che si avvicina nella continua chiamata e l’accoglienza del vangelo nella conversione di fede che si concretizza nella risposta. I discepoli sono stati chiamati da Gesù e hanno accolto con prontezza l’invito alla sequela, hanno avuto la possibilità di stare con il maestro, di ascoltare le sue parole e di vedere i suoi prodigi, si sono resi disponibili a condividere la stessa missione.
Anche se nuova e faticosa la nuova avventura è stata entusiasmante perché colui che li ha chiamati riesce a parlare con autorità e fare delle cose che gli altri uomini non riescono a fare, con lui tutto è possibile, anche uscire da quelle situazioni che umanamente sembrano sclerotizzate. Ma chi è quest’uomo? Cosa chiede lui che riesce a fare tutto? Cosa implica la chiamata iniziale: “Non temere d’ora in poi sarai pescatore di uomini”? Per poter fare strada insieme, per potere seguire il maestro in piena libertà è necessario rispondere a queste domande. Questa è la funzione, per qualunque lettore del vangelo, del brano che racconta l’episodio di Cesarea di Filippo, presente nei vangeli sinottici. La pericope può essere divisa in tre parti: la prima scena in cui Gesù pone la domanda e Pietro risponde; la seconda in cui Gesù annuncia la sua passione, morte e risurrezione; la terza in cui lo stesso maestro specifica le necessità della sequela. Attraverso la domanda di Gesù e le risposte di Pietro e dei discepoli il narratore mostra come il gruppo ha preso coscienza dell’identità messianica di Gesù.
Nella seconda parte le parole di Gesù svelano qualcosa di nuovo, che i discepoli non avevano pensato, anche se era stato profetizzato. Se non è facile pensarlo è molto difficile accettarlo, poiché prendi coscienza che colui che deve morire è lo stesso a cui hai consegnato la tua vita, perché non riesci a capire di che cosa stia parlando e che cosa significa risorgere, visto che per te la risurrezione è solo un termine. Nella terza parte Gesù invita i discepoli a condividere questa nuova missione, a condividere la sua morte per poter condividere la sua vita. Il tempo della condivisione può essere diverso ed è difficile prevederlo, ma lo spazio è definito, è quello della croce. È questo l’elemento di continuità tra la seconda parte e la terza, l’elemento che spiega che definisce ciò che era sottinteso. La morte di Gesù è una necessità per permettere ai discepoli, e tutti coloro che a loro tempo prenderanno la loro croce e lo seguiranno di perdere la propria vita e attraverso questa perdita di salvarla. Lo sguardo di cui parla il profeta Zaccaria non è semplicemente una visione emotiva che lascia fermo il nostro cuore, ma la chiamata conclusiva che lo muove a compassione, cioè gli chiede di muoversi con la stessa passione che Gesù ha avuto per noi.