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Il momento che segna l’inizio del veniente è l’Ascensione. Dopo la sua incarnazione, la morte e la risurrezione, Gesù ascende al Padre, l’episodio può essere letto come l’ultimo atto della vita terrena di Gesù, viene, infatti, sottratto alla loro vista dei discepoli con l’assicurazione che i loro occhi lo rivedranno allo stesso modo con cui l’hanno visto andare in cielo. Oltre a questa rassicurazione ai discepoli viene consegnata la promessa dello Spirito santo che li renderà testimoni fino ai confini della terra. C’è in questa promessa parte della verità che ci ha consegnato l’Apocalisse, sono, infatti, i discepoli con la loro predicazione e la loro testimonianza a rendere presente, nel tempo che deve venire e nello spazio dei confini del mondo, la continua venuta di Gesù per tutta l’umanità. Quello che i discepoli devono testimoniare non è un’idea, o una convinzione acquisita, ma il Figlio di Dio che è vissuto tra loro per quaranta giorni dopo la sua risurrezione. Bisogna che ciò che sia avvenuto si compia ancora per altre persone, poiché quello che Gesù ha detto non deve rimanere vincolato né a un preciso momento né a un luogo particolare, ma ha valore universale. Questa necessità viene bene espressa dalle parole che Gesù dice prima della sua Ascensione al cielo: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora tra voi, bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture …” Questa frase riprende altri due riferimenti alla scrittura presenti al capitolo ventiquattro dello stesso vangelo: “E cominciando da Mosè e dai profeti, spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riveriva a lui”; “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le scritture?”.
Il Risorto in tutte le apparizioni che Luca racconta diventa il vero ermeneuta che aiuta i discepoli a interpretare le scritture, come usare le scritture per illuminare il mistero della sua morte e risurrezione. Gesù, sulla strada di Emmaus, richiama le scritture per aiutare i due discepoli a superare il blocco della sofferenza e della morte: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. Prima dell’Ascensione la scrittura serve ai discepoli per comprendere la morte e la risurrezione come punto culminante del disegno salvifico di Dio: “Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutti ai popoli la conversione e il perdono dei peccati”. Un evento che è già accaduto, infatti, i discepoli sono stati costituiti missionari di tal esperienza, ma un mistero che deve rimanere vivo grazie al loro annuncio e la loro testimonianza.
Salendo al cielo Gesù affida ai suoi questo compito, che richiede la fede dell’accoglienza e la forza per l’annuncio. Come, e soprattutto con quale forza potranno obbedire a questo comando quando i confini del mondo diventeranno ostacolo alla realizzazione delle parole di Gesù? Sembra quasi che Gesù salendo al cielo affidi il carico di questo compito totalmente ai discepoli, e che il suo compito sia terminato, da una parte con la sua morte e risurrezione e con la relativa spiegazione dall’altra. In realtà Gesù stesso rivela che la sua missione non è conclusa e che la sua missione continua nel mandato ai discepoli. Nel momento dell’ascensione l’evangelista non manca di raccontare l’ultima azione di Gesù sui discepoli: “E alzati le mani li benedisse”.
Quello che a livello narrativo può sembrare un semplice dettaglio, diventa illuminate per la comprensione dell’evento se ne riconosciamo il suo valore teologico. La prima allusione presente nella nostra mente e al libro della Genesi, dopo la creazione dell’uomo e della donna Dio li benedice, cioè dona loro la capacità di realizzare la somiglianza richiesta. Nel nostro caso la benedizione di Gesù in linea con Genesi ci chiede di leggere l’azione salvifica di Cristo, che culmina con l’Ascensione, come una “Nuova creazione” in cui la Chiesa nascente è dotata della stessa opportunità della prima famiglia umana. Se a quest’allusione aggiungiamo i riferimenti lucani al patriarca Abramo e all’importanza della Benedizione promessa alla sua discendenza (Cfr. 3,8-9; 16, 19-31), allora mettere vicini Conversione, Benedizione e Promessa dello Spirito santo è per l’evangelista il modo più semplice per mostrare quello che Paolo dimostra i Galati 3, in cui Benedizione e Dono dello Spirito vengono a coincidere. Ecco che Gesù inizia a dare immediatamente ciò che ha promesso: “Ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso”.