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Il superfluo non è dono

Donare agli altri è donare a se stessi

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Il brano che ci presenta il vangelo di Marco nella XXXII domenica del tempo ordinario è utile per formare il fedele sull’insegnamento di Gesù nel recinto del tempio di Gerusalemme, dovrebbe, nella scansione domenicale, insieme al “Primo comandamento” (Mc 12,28-34) sintetizzare il capitoli undici e dodici del vangelo stesso.
Questo brano, infatti, ha la funzione di illuminare quello che lo precede e quello che lo segue, gli esegeti parlano di brano di transizione, intendendo con tale termine la funzione di collegamento a livello di senso. La pericope è costituita da due parti. La prima è una riflessione di Gesù riguardo la religiosità degli scribi, il loro modo di fare è evidentemente scandaloso, poiché risultato della pretesa di conciliare due atteggiamenti che moralmente e spiritualmente non si possono corrispondere: da una parte la pratica di una religiosità apertamente ostentata attraverso una ricerca di un riconoscimento pubblico e dall’altra la voracità verso i beni delle vedove. La riflessione viene conclusa con un giudizio di condanna, poiché non si trovano in sintonia con le indicazioni del “Grande comandamento” che chiedeva non solo l’amore verso Dio ma di farlo con tutto se stessi, gli scribi vengono condannati.
La seconda parte è un racconto esemplare, il modo in cui Gesù distingue l’offerta della vedova da quella degli altri equivale, in definitiva, a un giudizio espresso sulla pratica di tutti. “Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava le monete”. La scena è semplice, stringata, giocata sul contrasto sulle due frasi: “Tanti ricchi ne gettavano molte” e “Giunta però una sola vedova povera, vi getto due monetine, che fanno un soldo”.
Il contrasto è forte anche nei termini che costituiscono le frasi, da una parte “Tanti ricchi” dall’altra “Una sola vedova povera”; da una parte “vi gettavano” che evoca un’azione ripetuta compiuta da diverse persone, dall’altra “vi gettò” un’azione puntuale, fatta una sola volta da una persona sola; ed infine la quantità, da una parte “molto” dall’altra “due spiccioli, che fanno un soldo”.
La chiave del ragionamento suppone uno sguardo penetrante sull’atto del donare: gli uni hanno messo “del loro superfluo”; l’altra ha donato tutta la sua mancanza. La vedova che è sola e povera ha dato più di tutti i ricchi messi insieme, il paragone non con il singolo ricco, ma con tutti i ricchi. L’attenzione è insieme su quello che si è e su quello che si dà.
Come una vedova povera e sola può donare più di tanti ricchi messi insieme? La risposta viene da come Gesù qualifica il dono: è diverso donare “il superfluo”, dal donare “Tutto ciò che possedeva, tutto ciò che aveva per vivere”. C’è un abisso tra donare ciò che si possiede in abbondanza e donare quando si è ridotti alla povertà. In quest’ultimo caso i due spiccioli sono il simbolo della povertà, e nel momento in cui vengono donati senza trattenere nulla, si capisce che la vedova ha donato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze, cioè ha donato se stessa senza fare calcoli, ma fidandosi completamente di Dio, realizza così il “grande comandamento”.
Stranamente dopo queste parole non si ascolta più nulla, nessuna reazione, nessuna conclusione narrativa, questa parola di Gesù deve concludere tutto il complesso degli incontri nel tempio. Tutto orienta verso quello che sta per accadere, il dono della vedova prepara direttamente il dono incondizionato di Gesù nella sua Pasqua che sta per compiersi.