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Gesù, il pane disceso dal cielo

Gesù il pane vivo disceso dal cielo

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Ha un aspetto diverso quello che i Giudei si trovano non vicino alla loro testa ma davanti, un pane che fanno fatica a mangiare perché sanno da dove viene, ecco da cosa è motivata la loro mormorazione tutta concentrata sulla frase che Gesù ha pronunciato e che loro non riescono a capire: “Io sono il pane disceso dal cielo”. Due sono gli interrogativi che si pongono: come fa a dire “Sono disceso dal cielo”? E cosa significa “sono il pane”?
La prima obiezione si concentra sulla provenienza di Gesù è espressa attraverso due domande: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?”, “Come può dunque dire: sono disceso dal cielo?”. Gesù non può venire dal cielo perché si conoscono le sue origini, nella mormorazione, dunque c’è una richiesta che riguarda il legame tra quello che Gesù ha affermato e le sue origini. Come Gesù dimostra la sua provenienza dal cielo? Ma soprattutto è possibile dimostrala? Analizzando la risposta di Gesù possiamo vedere che apparentemente non si concentra sulla sua origine, ma sul movimento dei suoi interlocutori, sulla loro presenza davanti a Lui: cosa li ha spinti ad arrivare là? La risposta apre una luce alla domanda stessa dei Giudei e si pone come chiave di lettura per la comprensione del brano: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno.”. L’origine di Gesù come pane del cielo così come la loro presenza è una chiara manifestazione della volontà di Dio. Se i Giudei sono capaci di trovare, nella verità, il motivo della loro presenza davanti a Gesù allora capiranno l’origine celeste di Gesù, il momento presente è un segno concreto di qualcosa che si rivelerà pienamente nell’ultimo giorno quando il Figlio “Lo risusciterà nell’ultimo giorno”.
Per capire meglio il concetto è necessario rileggere i versetti 36-40 dello stesso capitolo in cui Gesù aveva parlato del legame tra Lui il Padre e coloro che vengono a Lui: “Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in Lui abbia la vita eterna; ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (v. 40). Gesù stesso chiede ai Giudei di fare un passaggio di fede, di prendere coscienza che sono davanti a lui e possono vederlo perché il Padre ha parlato loro e l’insegnamento che gli ha dato è quello di recarsi da Gesù. Chi non crede a Gesù che rende visibile la parola del Padre, non crede al Padre che ha parlato, c’è una logica che va colta nella fede, il Padre parla per ammaestrare, il suo insegnamento ha come contenuto l’invio a Gesù, la presenza di Gesù rende visibile il Padre e dà la possibilità a chi è stato attirato di essere risuscitato nell’ultimo giorno.
In un secondo momento Gesù spiega che cosa significa “Io sono il pane”, e lo fa con riferimento alla manna data nel deserto, la manna era cibo che veniva da Dio perché il popolo non riusciva a spiegare la sua origine, un cibo che pur provenendo da Dio serviva per il cammino nel deserto per arrivare nella terra promessa, non aveva dato la vita eterna a coloro che l’avevano mangiata. Gesù pretende di essere il pane celeste non perché non si conosce la sua origine terrena ma perché è capace di dare la vita eterna. Importante per la comprensione dell’essere pane e la frase finale della pericope: “Il pane che io darò è la mia carne per vita del mondo”. È chiaro qui il rimando alla sua morte e alla sua risurrezione, ciò che non emerge immediatamente è il legame che Gesù sta ponendo tra la sua Pasqua e il pane da mangiare, l’incarnazione, la morte e la risurrezione di Gesù non sono altro che la manifestazione della volontà del Padre che si rivela all’uomo attraverso “La mia carne per la vita del mondo”. Tutto questo è visibile nella persona di Gesù che è stato voluto e donato come pane da mangiare.