{module AddThis}perché nel suo nucleo essenziale ci vuole comunicare questo dono prezioso da parte del Signore. Certo, i termini usati dalla liturgia della parola sono alleanza, sacrificio, redenzione e pasqua, ma la categoria dell’amicizia anche se non può sostituirle ci aiuta almeno ad arrivare a una comprensione degli stessi termini che poi ci permettono di cogliere il mistero.
Come abbiamo detto, il termine alleanza e le categorie affini all’uomo di oggi dicono poco e in alcuni casi il concetto stesso di amicizia fa difficoltà, ma se ci fermiamo un attimo e riflettiamo su quello che l’uomo di oggi desidera di più, anche se non è pienamente cosciente, è di trovare un amico fedele, perché solo attraverso il dono dell’amicizia l’uomo trova la condizione adatta per ritrovare se stesso come essere relazionale capace di essere e di divenire. Chi di noi non desidera trovare qualcuno che lo capisca perfettamente e che non si ferma solo all’analisi dell’essere, ma sia capace di indicare la strada del divenire? Chi non ricerca un punto di appoggio che rimanga tale nonostante le nostre infedeltà, che non solo vuole esserti amico, ma soprattutto ne è capace? Le letture di questa solennità ci parlano non solo della possibilità ma della realtà che aspetta di essere resa possibile nella nostra vita.
Nel libro dell’Esodo Mosè certifica l’alleanza tra Dio e il popolo attraverso un’azione simbolica.
L’amicizia nasce da un impegno di Dio che apre la storia, Dio s’impegna a parlare e il popolo s’impegna ad ascoltare, prima del comando e dell’obbedienza c’è un Dio che parla e un popolo che deve ascoltare. Il sangue che viene offerto è da una parte sacrificio di comunione per il Signore e dall’altra è qualificato dal termine alleanza che Dio ha concluso con il popolo sulla base delle parole. Il sangue esprime in modo visibile una comunione che nasce in conformità a una volontà, espressione di apertura e benevolenza che riesce a trovare solo nell’ascolto lo spazio dell’accoglienza e dell’esecuzione. Un’amicizia che viene offerta da Dio sulla base della capacità del dono e che richiede per la relazione di comunione la capacità di accogliere il dono. Una volontà che richiede per la comunione una capacità di accoglienza e di esercizio di tale volontà. La Lettera agli Ebrei ci rivela, dove si realizza pienamente l’espressione di sacrificio e comunione: Egli viene come sommo Sacerdote capace di portare i beni futuri attraverso la tenda del suo corpo. Dal suo sangue siamo purificati e resi capaci di rispondere al dono che Lui è, nel quale unicamente si può esprimere il servizio al Dio vivente. Solo se riusciamo a capire la volontà di comunione di Dio e la necessità di rispondere a questa volontà possiamo capire il ruolo salvifico di Cristo e il sacrificio eucaristico.
L’evangelista Marco ci parla della nuova alleanza attraverso il racconto dell’ultima cena di Gesù. Questo brano è intervallato, come se fosse il ritornello, dal verbo mangiare, i discepoli vengono mandati a preparare la pasqua che Gesù deve mangiare. È chiaro che qui si sta parlando della sua pasqua, cioè dal suo passaggio da questo mondo al Padre attraverso la morte e la risurrezione. “Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,3), l’uomo Gesù si nutre della volontà di Dio e durante questo pasto, “mentre mangiavano”, inizia a realizzare il sacrificio di comunione per rendere possibile l’amicizia tra Dio e gli uomini. In questo stesso pasto, nutrendosi del cibo che è diventato Gesù, i discepoli diventano capaci di accogliere questa volontà e di rispondere a questa volontà diventando a loro volta ciò di cui si sono nutriti per rispondere all’amicizia di Dio e per donarsi ai fratelli. Nell’eucaristia l’uomo si scopre amato da Dio che attraverso il dono del suo Figlio gli offre la sua amicizia, e nello stesso tempo si percepisce reso capace dello stesso amore mediante il quale risponde all’amicizia di Dio e si apre alla nuova possibile amicizia con il prossimo.