{module AddThis}gli fa capire che tale mistero è più grande della nostra capacità di comprensione della nostra mente, Dio l’ha rivelato in modo tale che solo in nostro cuore possa accoglierlo e viverlo. Forse pochi conoscono il tentativo di una catechista appassionata di matematica che ai bambini spiegava l’unicità della natura divina moltiplicando tre volte il numero uno e la trinità delle persone sommando tre volte lo stesso numero.Lo sforzo e la ricerca di comprensione non sono quelli di decifrare e spiegare un’idea, un’intuizione sull’essenza di Dio, ma di accogliere ciò che Dio ha rivelato di se stesso attraverso il suo agire storico-salvifico, ed è quello che cercano di fare la Bibbia e la Liturgia. La Trinità non è un teorema ma una rivelazione e come tale va accolta, compresa e vissuta.
Nel libro del Deuteronomio Mosè, infatti, parla al popolo e lo esorta a cogliere l’unicità di Dio attraverso il suo agire nel tempo e nello spazio. Quello che dobbiamo interrogare non è la nostra capacità di riflessione che può penetrare un mistero e individuare l’essenza di un’identità, correndo il rischio di cogliere non Dio ma la nostra idea di Dio, ma Dio stesso perché lui ha parlato, ha fatto udire la sua voce nel fuoco. Dobbiamo interrogare i tempi e gli uomini in cui Dio ha manifestato la sua elezione e ha operato prodigi e ci ha comandato di custodire e osservare ciò che Lui ha rivelato: la sua unicità. Su questa manifestazione si poggia il comando di osservare le sue leggi ma soprattutto si poggia l’invito a essere felici. Dio si è rivelato per rendere felice l’umanità! Una felicità che come ci indica il salmo 32 consiste nell’appartenere al Signore. Dio ha creato tutto con la sua parola e dopo avere creato tutto, non si è allontanato dalla creazione ma veglia su di essa per nutrirla in tempo di fame e liberarla dalla morte.
La speranza invocata nel salmo è stata realizzata da Gesù Cristo che con la sua incarnazione, morte e risurrezione ha realizzato in noi la piena appartenenza a Dio, un’appartenenza che nessuno aveva mai immaginato ma, nonostante questo, reale, l’appartenenza a Dio come figli. Questa figliolanza è possibile solo in Cristo, non solo perché Lui l’ha realizzata con le sue opere ma anche perché Lui l’ha potuta realizzare giacché Figlio unigenito del Padre. L’opera del Figlio manifesta la sua identità e nella sua relazione ci rivela il Padre. Il progetto del Padre e l’opera del Figlio si prolungano nel comando che Gesù dà agli apostoli: “Andate, dunque, e fate discepole tutte le genti e immergete esse nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito santo.”. Un nuovo comando di felicità non più legato alla presenza sulla terra ma alla partecipazione al mistero trinitario, la felicità inizia nel momento in cui l’uomo attraverso il battesimo viene immerso nel Padre nel Figlio e nello Spirito Santo.
Una partecipazione che viene realizzata nello Spirito e che deve essere vissuta in Lui, è, infatti, Egli stesso che attesta al nostro spirito, e non alla nostra ragione, la figliolanza e per mezzo del quale gridiamo “Abbà, Padre!”.
La parola di Dio ci ha condotti ha guardare il mistero della Trinità in modo diverso, esso non è una comprensione o un’esperienza che si può fare al di fuori di Dio ma solo se si è immersi in Lui, non può essere frutto di uno sforzo umano che si pone a distanza e osserva Dio e analizzandolo cerca di penetrare la sua essenza, ma è pienezza di esperienza che Dio concede come dono attraverso il Figlio nello Spirito. Nello Spirito Santo, e solo nello spirito possiamo cogliere e accogliere la Santissima Trinità, che non è un’enigma chiuso ed egoistico ma un mistero aperto di comunione e partecipazione.