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Noi attendevamo quei 700 naufraghi

Lo sbarco degli immigrati a Reggio Calabria

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Si era presenti in molti del Coordinamento Ecclesiale di Pronto Intervento per prestare un qualche servizio già allo sbarco e poi nella sede della primissima accoglienza: momenti strazianti quelli del primo contatto con gli scampati dalla morte; si stenta a chiamarli fortunati questi scampati dal peggio, quando si sta di fronte a una madre che si trascina dietro due bambini da sola, perché il marito è rimasto in alto mare in balia delle onde o alle due giovani donne che, sedute su una panchina del centro sportivo di Ravagnese con occhi impietriti, non hanno più lacrime, l’una per piangere papà e sorella, l’altra ambedue le sorelle che tentavano con loro la tragica traversata, m sono state inghiottite sotto i loro occhi dal mare. Di fronte a drammi come questi passa in secondo ordine la scabbia e qualche altro fastidioso malanno, non però preoccupante, dei tanti (è una cifra a due zeri) cui non è stato consentito di salire su uno dei pullman già con i motori accesi per trasferire anche questi ultimi in una casa di accoglienza più stabile, in altre regioni d’Italia.
Con quelli rimasti per qualche altro a Reggio si è potuto scambiare qualche parola e prestare qualche servizio in più, senza limitarsi a fornitura di calzature e indumenti fino ad esaurimento. Ho cestinato, dicevo, quella bozza, perché erano cominciate a giungere allarmanti notizie, le prime dai contorni e con numeri ancora incerti e poi, di ora in ora, sempre più chiari e raccapriccianti: un triste primato di naufraghi anche a confronto dei quattrocento registrati la settimana scorsa.
Settecento, cifra approssimativa, sprofondati in mare a circa trenta miglia fuori delle acque territoriali libiche, stipati all’inverosimile su un peschereccio che a stento ne poteva contenere un centinaio; una massa di disperati che all’apparire nel primo mercantile, un cargo portoghese, si è protesa eccessivamente su quella sponda invocando aiuto, lasciando prevalere, su un minimo di calcolo razionale, l’istinto della sopravvivenza e del si salvi chi può. A tanto porta la disperazione. Meno di una trentina si è si è salvata e in questo primo pomeriggio di lunedì da Malta è in rotta per Catania; spaventosamente pochi, ma quanto basta per cominciare a ricostruire la dinamica della tragedia, in base a quanto essi stessi hanno visto, spettatori impotenti dell’immensa tragedia. con i loro occhio e sperimentato sulla loro pelle. Nei prossimi giorni facilmente si potrà cavar fuori dal sottofondo della loro memoria ancora in stato confusionale altri particolari che aiuteranno a ricostruire nei dettagli tutta la vicenda e forse anche i retroscena di inganni, minacce e sevizie che hanno portato a questo luttuoso epilogo.
Che dire? Ci sono parole per esprimere le nostre valutazioni e i nostri sentimenti? Non è rimasto senza parole Papa Francesco che domenica a mezzogiorno al solito appuntamento dell’Angelus si è espresso così con la folla accorsa in Piazza S. Pietro: “Cari fratelli e sorelle, stanno giungendo in queste ore notizie relative a una nuova tragedia nelle acque del Mediterraneo. Un barcone carico di migranti si è capovolto la notte scorsa a circa 60 miglia dalla costa libica e si teme vi siano centinaia di vittime. Esprimo il mio più sentito dolore di fronte a una tale tragedia ed assicuro per gli scomparsi e le loro famiglie il mio ricordo e la mia preghiera. Rivolgo un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con decisione e prontezza, onde evitare che simili tragedie abbiano a ripetersi. Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti sfruttati, vittime di guerre; cercano una vita migliore. Cercavano la felicità… Vi invito a pregare in silenzio, prima, e poi tutti insieme per questi fratelli e sorelle… Ave Maria”.
Il giorno prima il Papa si era incontrato col Presidente della Repubblica Mattarella in visita ufficiale in Vaticano. Il Presidente ha ricordato che il primo viaggio di Francesco fuori Roma era stato a Lampedusa proprio per sottolineare il dramma degli immigrati ed ha affermato che “le istituzioni e la società italiane sono impegnate, con generosità, per fronteggiare questa emergenza e l’Italia invoca da tempo un intervento deciso dell’Unione Europea per fermare questa continua perdita di vite umane nel Mediterraneo, culla della nostra civiltà. Con queste vite spezzate si perde la speranza di tante persone e si compromette la dignità della comunità internazionale. Rischiamo di smarrire la nostra umanità”.
Il Papa in risposta, come ultimo pensiero, quasi a sottolinearne l’importanza: “Desidero esprimere la mia gratitudine per l’impegno che l’Italia sta profondendo per accogliere i numerosi migranti che, a rischio della vita, chiedono accoglienza. E’ evidente che le proporzioni del fenomeno richiedono un coinvolgimento molto più ampio. Non dobbiamo stancarci nel sollecitare un impegno più esteso a livello europeo e internazionale”.
Il Papa non ha sue legioni da schierare per un intervento armato e nemmeno invoca altri interventi del genere; ma sollecita Europa e, più estesamente, la comunità internazionale (leggi Nazioni Unite) “ad agire con decisione e prontezza ad agire con decisione e prontezza”; senza limitarsi a dire: “Brava, Italia; il nostro plauso, ti battiamo le mani, continua così”. Coscienza cristiana e un minimo di coscienza civile reagiscono a questa mezza misura di comodo, puro calcolo di interesse politico ed economico, come pure reagiscono al tanto sbraitare, in clima elettorale, di certe forze politiche contro gli attuali governanti che non muoverebbero un dito per difendere il sacro suolo della Patria e bloccare le partenze già sulle coste libiche e qualcosa di più. Essi sì partirebbero subito, con la lancia in resta e imprecando alla don Chisciotte contro le stelle; veri salvatori della Patria e della civiltà.