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Le apparizioni: salvezza che continua

Le apparizioni dopo la Resurrezione

{module AddThis}Questa verità e nello stesso tempo questa chiamata giungono a noi per mezzo dell’autore del IV vangelo, dopo l’apparizione a Maria Maddalena l’evangelista ci racconta quella al gruppo dei discepoli. Il brano evangelico che ci propone la II domenica di Pasqua è diviso in due quadri che, in qualche modo sono differenziati da un aspetto cronologico, il luogo, infatti, è sempre l’ambiente chiuso di una casa, ma ci sono otto giorni di differenza tra la prima scena e la seconda. La connessione stretta tra le due apparizioni è assicurata con la stessa forza dalla presenza dei discepoli come comunità “annunciante” costituita e dall’assenza presenza di Tommaso destinatario dell’annuncio.
Dopo un’introduzione spazio temporale, la pericope ci presenta Gesù attraverso tre verbi: venire stare, dire. Anteponendo questi tre verbi all’atto di mostrare il narratore ci comunica che Gesù continua a essere la garanzia della presenza della salvezza, questa presenza salvifica è confermata dal saluto-dono pasquale della pace che dà compimento alla promessa fatta da Gesù. Dopo il saluto di pace, garanzia di sicurezza e di fiducia, Gesù incarica il gruppo di una missione. Il mandato ha il suo fondamento e il suo modello nella missione che Gesù ha ricevuto dal Padre, la sua missione si prolunga in quella dei discepoli. L’inviato rende presente ed efficace l’autorità di colui che l’ha mandato. Perciò l’incarico della missione implica nello stesso tempo un atto di fiducia e di abilitazione, attraverso quest’atto Gesù dimostra di dare fiducia e di abilitare i discepoli come comunità “testimoniante” e “annunciante”.
Il brano prosegue con un gesto che ha lo scopo di trasmettere alla comunità lo Spirito santo e per mezzo di questo dono abilitare a rimettere i peccati. La connessione tra lo Spirito santo e la remissione dei peccati fa riferimento alla promessa biblica dello Spirito di Dio per purificare il popolo dalle tutte le sue contaminazioni idolatriche (Ez 36,25-27). Il profeta Zaccaria rilegge la promessa di Ezechiele (47,1-12) come una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità della casa di Davide e degli abitanti di Gerusalemme (Zc 13,1; 14,8). L’evangelista mediante la parola profetica di Zaccaria (12,10) interpreta la morte di Gesù: dal suo fianco colpito uscirono sangue e acqua (Gv 19,34.37). Quando Gesù risorto mostra ai discepoli le mani e il fianco e poi soffia su di loro e trasmette lo Spirito santo, allora si realizza la visione profetica di colui che è stato trafitto.
I discepoli riassumono a Tommaso la loro esperienza pasquale con l’espressione “Abbiamo visto il Signore”. La reazione dell’apostolo assente offre in modo esplicito il nesso non solo tra il vedere e il credere, ma anche e soprattutto quello tra il vedere l’ascoltare e il credere, ciò che è chiesto a Tommaso è esattamente questo: credere che gli altri abbiano visto il Signore. Nessuna garanzia per quest’annuncio se non la parola del gruppo, ma di un gruppo costituito e abilitato dal Risorto. Il problema di Tommaso non è solo quello di verificare la realtà del corpo crocefisso di Gesù ma di fidarsi della parola che sta annunciando la prima comunità. In questo Tommaso fallisce. Nell’itinerario della fede pasquale di Tommaso la svolta decisiva è rappresentata dall’invito di Gesù: “Cessa di essere incredulo e diventa credente”. Dopo queste parole non ha più senso la sua pretesa di verificare, e davanti a Gesù che si presenta con i segni della passione professa la sua fede: Signore mio e Dio mio”, il titolo Kyrios che l’Antico Testamento attribuisce a JHWH è ora usato nei confronti di Gesù come Signore esaltato e glorificato, ma egli attribuisce a Gesù il titolo “Dio mio”, il Risorto non è solo il Signore glorificato ma colui che rende vicino e accessibile l’unico e invisibile Dio.