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Il monte, luogo dell’Incontro

Monte Reggio Calabria

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Due monti volutamente non definiti, così da diventare possibili nel nostro cammino, due monti necessari all’incomprensione umana e alla rivelazione divina, due monti che devono lasciare senza parole ma aprire una strada alla comprensione.
Abramo ha la necessità di capire il dono della sua paternità con riferimento a Dio e al figlio, sul monte comprende come l’ascolto e l’obbedienza non impediscono di alzare gli occhi e vedere la volontà e l’azione divina, anzi ne sono gli strumenti privilegiati.
Pietro, Giacomo e Giovanni sono condotti sul monte per capire cosa il dono del Figlio di Dio richiede all’umanità. La pericope presente è un brano di rivelazione a servizio di una risoluzione che l’evangelista Marco ha riportato nei versetti precedenti. Pietro, e gli altri con lui, dopo aver confessato il messianismo di Gesù non riesce ad accettare l’idea che l’azione salvifica di Cristo passi attraverso la morte e la risurrezione, che per salvare la propria vita bisogna perderla, fa fatica a credere alle parole di Gesù. Di solito in eventi del genere si hanno la descrizione della rivelazione completa e poi la spiegazione e la reazione umana, nel nostro caso non è stato possibile perché l’intromissione della logica umana, nelle parole di Pietro, interrompe per un momento la manifestazione divina.
In un primo momento è rivelata l’azione di Dio che fa vedere Gesù sotto un’altra forma, le vesti bianchissime sono espressione della persona ed equivalgono all’umanità di Gesù che in questo modo viene collocata nella sfera divina, le apparizioni di Elia e Mosè vanno lette sulla stessa linea, “Gli esperti della parola” s’intrattengono con Gesù così come sul monte hanno conversato con Dio (Cfr. Es 34,35). La rivelazione vuole aiutare a comprendere il messianismo di Gesù come un superamento di quello che attendeva Israele. Ed è proprio questo che Pietro dimostra di non avere capito con il suo intervento, nel momento in cui il silenzio era necessario per dare la possibilità a Dio di parlare lui prende la parola e manifesta la totale incomprensione del disegno umano: vuole racchiudere Gesù nella tenda umana paragonandolo a Mosè ed Elia. In questo caso Pietro è l’esempio dell’irruenza umana che per e nella paura cerca di anticipare la voce di Dio.
Ma Dio, come con il re Davide, ci ricorda che Lui ha costruito una “tenda” per noi: è la nube che avvolge con la sua ombra dalla quale esce che può interpretare la visione. La presenza della nube e la voce che da essa proviene sono il momento culminante dell’epifania, interrotta da Pietro poiché la nube occulta e rivela al tempo stesso la presenza divina. L’apparizione della nube presuppone il rifiuto della proposta di Pietro che mirava a mantenere i tre personaggi sul piano terreno, le parole vengono dirette ai discepoli e forniscono l’interpretazione di quanto visto: “Questi è il figlio mio” esclude Mosè ed Elia dimostrando la preminenza di Gesù; “L’amato” chiarisce la relazione tra Dio e Gesù e allude al figlio unico Isacco; l’avvertenza “Ascoltatelo” presenta Gesù non solo come l’unico maestro ma come l’unico che attraverso la sua parola ha rivelato e manifesta la volontà di Dio.
Ed ecco, come Abramo che alza gli occhi e vede l’ariete così i discepoli guardandosi attorno vedono l’agnello Gesù solo, poiché solo lui può compiere il disegno di Dio. L’assenza di reazione da parte dei tre non vuole indicare soltanto l’incomprensione ma probabilmente vuole aprire uno spazio sul monte che l’evangelista ha riservato a noi così come la domanda che gli apostoli si pongono scendendo che vuole aprire una strada nel nostro percorso quaresimale.