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Nei due brani che ci presentano scene di chiamata ci sono tante similitudini, la possibilità di riconoscere la chiamata, e qualche differenza, l’unicità della chiamata stessa, la differenza, infatti, in questo caso non ha la funzione di distinguere ma di completare la chiamata. All’inizio le pericopi, presentano il “me umano” nella sua staticità. Samuele è coricato nel tempio e i due discepoli di Giovanni Battista “stanno là”, sembra che l’attesa caratterizzi la vita dell’uomo, anche quando non ha ben chiaro ciò che attende. Dio si è avvicinato all’uomo, e l’uomo si è avvicinato a Dio, ma è come se percepisse che l’incontro è possibile solo se Dio fa il primo passo, solo se Dio si muove, l’uomo è in attesa inconscia di un movimento di Dio, e Dio si muove, si muove perché parla, si muove perché il Verbo di Dio si è fatto carne e passa per le strade della quotidianità della nostra vita.
Siamo così vicini a Dio, ma a volte non siamo capaci di riconoscere la sua voce e il suo volto, c’è una disponibilità e forse anche un’abitudine alle “cose che riteniamo di Dio”, ma non abbiamo ancora incontrato Dio personalmente: “Samuele non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata rivelata ancora la Parola del Signore”; abbiamo sentito parlare di Lui ma ancora non lo abbiamo incontrato, non sappiamo distinguere “le cose di Dio” da Dio. Essenziale diventano le guide, i Giovanni Battista gli Eli, chi ha esperienza di Dio, che comprendono le dinamiche della chiamata, che ti portano alla soglia della sua dimora, ma mai si sostituiscono a Lui, lo riconoscono anche nella tua vita, te lo sanno indicare e sanno prepararti al dialogo, non decidono per te, non ti suggeriscono la risposta ma ti aprono all’ascolto e all’incontro.
L’incontro, l’apice dei due brani, e della vita del cristiano, i due movimenti nascono per questo momento particolare, unico; non ci sono parole per raccontare ciò che abbiamo visto e ciò che abbiamo udito, non perché la parola è incapace di raccontare l’evento, ma perché l’evento stesso è talmente esclusivo e personale che per ogni uomo è diverso. Il narratore si ferma qui in un misterioso e rispettoso silenzio limitandosi a sottolineare l’importanza del momento (“Erano circa le quattro del pomeriggio”) e ciò che ha occupato il tempo dell’incontro (“Samuele non lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole”).
Quello che deve restare per sempre, poiché è essenziale, sono due semplici frasi, l’invito di Gesù: “Venite e vedrete”, e la nostra risposta: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”. È questo che permette di condividere il dono della vocazione, e di non sostituire lo scopo di ogni chiamata, l’incontro con Gesù: “Quel giorno si fermarono presso di lui”.
Un’ultima cosa, non come conseguenza della chiamata, ma come parte stessa è l’invio e l’annuncio che nasce in modo naturale dall’incontro, di comunicare che ogni uomo può trovare ciò che cerca, poiché il cercare dell’uomo nasce nel momento in cui fissa lo sguardo su Dio (“Fissando lo sguardo su Gesù che passava”) e il suo trovare non finisce, ma rinasce nell’ora in cui Lui fissa lo sguardo su di noi (“Gesù, fissando lo sguardo su di lui”) perché là iniziamo a seguire e camminare con Cristo che passa per trasformare, per porre l’uomo in attesa in movimento, a immagine stessa di Dio.