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“24 ore per il Signore”: un tempo da rivalutare

confessione

Un sacramento che attende di essere accolto e di poter plasmare e fare di noi tutti solo degli strumenti e degli annunciatori di misericordia perché portiamo in noi stessi quella Luce che contagia. Non ci troviamo dinanzi ad un banchetto organizzato con inviti personalizzati. Gesù è semplicemente seduto a mensa e attira chi, in segno di amicizia, vuol condividere il pasto con Lui. Segno antico, segno di ospitalità, un’apertura all’altro che non soddisfa soltanto il bisogno primario di nutrirsi ma evoca ben altro: poter rimanere con il Maestro, mentre si attua uno dei gesti insopprimibili per l’essere umano ma che racchiude la simbologia profonda che parla di amicizia, di semplicità, di parole scambiate e di sguardi, in un contesto semplicissimo, ordinario, comune.
Il Maestro, sollecitato dai commenti di chi si sentiva disturbato nella propria dignità di persona ragguardevole e osservante nei riguardi della Legge, incide nella storia dell’umanità un insegnamento che può imprimere una svolta, far sorgere un’era nuova: Misericordia io voglio. Egli punta diritto al cuore, al luogo dell’intelligenza e della volontà, della libera scelta per poter diventare la persona che si vuole diventare e non soccombere a consuetudini, a regolamenti o dettami che giudichino esternamente e bollino le persone e le loro azioni. “24 ore per il Signore” non è uno slogan accattivante e fruttuoso per qualche business o per qualche offerta straordinaria di merci. È un richiamo che vuole risuonare nelle coscienze, farle svegliare dal torpore, farle uscire da quelle ombre di egoismo che, inevitabilmente, si posano sulla nostra relazione con Gesù Cristo e, di riflesso, con i nostri simili. Si delinea quello stato di peccato che allontana dal Creatore, che confonde il rapporto filiale con un dovere da assolvere, possibilmente senza molta fatica e senza spendere troppo.
Egli, l’Uomo Dio, non ci condanna e non ci lascia annaspare nella nostra broda. Sa bene quanto, anche senza volerlo dichiarare, ne siamo travagliati. Ci offre la medicina salutare, semplice e alla portata di tutti. Basta guardarsi dentro e scoprire quanto la riconciliazione sia stata pensata e creata proprio per noi, per ognuno di noi. Peccatore perché limitato, peccatore perché trascinato dagli eventi, peccatore perché incapace di reagire alla corrente che travolge. Se così ci riconosciamo, abbiamo anche individuato il nostro posto nella Chiesa: seduti a mensa con Gesù Cristo in persona. Da peccatori ma riconciliati.
Il sacramento ci mette a nudo non dinanzi a uno sguardo che ci scruta e esprime un giudizio ma ci consegna a noi stessi, con uno slancio di dolore che è dono di salvezza proprio di Colui che sta seduto a mensa con noi. Misericordia non significa ingenuità e, quindi, mancanza di adesione alla realtà o mistificazione per giustificarci. Misericordia vuol dire lasciarsi inondare da quel Sangue che dona salvezza e pacifica la coscienza che, invece di rimordere e angustiare, può cantare le lodi di Dio perché sa che il Padre sempre perdona. Non dobbiamo attenderci una punizione, uno scotto da pagare, possiamo sperimentare solo quella leggerezza gioiosa di chi, assuntosi le proprie responsabilità, si sperimenta liberato e pronto a ricominciare a vivere. Una sorta di risurrezione, di abbandono di uno stato in cui regnano le tenebre ed in cui invece ora splende la Luce. Non è un gesto automatico ma un gesto di profonda fede nel sapersi e riconoscersi creatura povera ed indigente ma pur sempre figlio. La proposta delle 24 ore dovrebbe penetrare in tutti i nostri ambienti e rivelarsi un torrente impetuoso che, scorrendo, canta e invita ad essere ascoltato. Un momento in cui il dono si fa toccare con mano e imprime alla realtà il sigillo dell’amore e non quello dell’accusa.
Un sacramento che attende di essere accolto e di poter plasmare e fare di noi tutti solo degli strumenti e degli annunciatori di misericordia perché portiamo in noi stessi quella Luce che contagia. Lasciar scorrere le giornate e gli anni senza riconciliarsi con il Padre significa perdere un grande tesoro, perdere la rigenerazione che sana il nostro ambiente, le nostre famiglie e tutta la società. La svolta che tutti possiamo sperimentare, dinanzi agli eventi che ci colpiscono ogni giorno e non attestano la nostra umanità, la nostra capacità di accoglienza, e trova la sua radice proprio nella Riconciliazione. Se sapessimo abbeverarci al torrente, nulla sembrerebbe difficile, nulla impossibile. Colui che siede a tavola con noi, è sempre noi, ci nutre e ci indica la strada da Lui battuta per primo. La nostra riconciliazione non è chiusa in se stessa ma quanto più è dolente e gioiosa, tanto più contagia e crea, a sua volta, misericordia.